Data retention: a che pro?
In questi giorni è stato varato il pacchetto Pisanu, antiterrorismo, che ha una parte significativa anche per telefonia, internet e i gestori di accessi pubblici…
In pratica è stata estesa per decreto la cosiddetta “data retention”, cioè la conservazione dei dati di traffico telefonico e telematico fino al dicembre 2007, quindi due anni e qualche mese, in cui i gestori di telefonia dovranno conservare tutti i log telefonici, e i gestori di reti telematiche e internet point tutte le email e i log di navigazione e di voip.
La prima domanda che ci si pone è: serviranno queste misure? E la seconda a ruota: e la privacy del cittadino dove va?
Partiamo dalla seconda, dai nostri diritti civili.
La Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva in tal senso, che propone una durata di 12 e 6 mesi, e già incontra la dura opposizione di associazioni per i diritti civili.
Noi, probabili prossimi bersagli, ci siamo messi in testa di fare di più e di meglio, e non è difficile dare ragione e appoggiare il senatore Fiorello Cortiana, da sempre sensibile a certe problematiche (ma è l’unico in questo parlamento?), quando parla di un decreto “Grande fratello” che non da alcuna garanzia metodologica ed è una “grave schedatura indiscriminata, propugnata solo sull’onda dell’emozione“.
Addirittura la situazione si complica per i gestori di internet point, che dovranno fare fronte a impegni molto gravosi quali: mantenimento dei dati del traffico telefonico o telematico, conservazione dei dati “per altre finalità” per sei mesi e poi ulteriori sei, richiesta al questore di una licenza per tenere apparecchi pubblici per le comunicazioni (telefoni, pc), identificazione del cliente previa registrazione del documento di identità.
Questi piccoli imprenditori non sono affatto contenti di ciò, perchè si trovano comprensibilmente ad affrontare un sacco di problemi e oneri in più. Si va da quello della conservazione fisica dei log alle difficoltà oggettive nel valutare documenti stranieri, magari arabi.
E ora la prima domanda: serve tutto ciò? E a cosa?
Questo grande occhio che indiscriminatamente da oggi in poi ci osserva e ci registra, può effettivamente fermare il terrorismo? Può inibire l’attività dei kamikaze? Certo, in un mondo telematico, uno pensa che questi dovranno per forza comunicare tra di loro… benissimo per l’intercettazione, anche se immagino a stento le orecchie della intelligence ascoltare ogni conversazione in un idioma vagamente mediorientale. ma la conservazione per 29 mesi, a che pro?
Quando quattro individui si sono fatti esplodere con gli zaini in un posto molto affollato, quanto può giovare scoprire che email si sono scambiati, che telefonate si sono fatti, 2 anni fa?
Pensiamo davvero di mettere loro i bastoni tra le ruote, di far loro paura?
Mi permetto di dubitarlo…
Visto come è facile ad esempio fare wardriving per le strade italiane, o comprare schede telefoniche già attivate con traffico telefonico incluso, che senso ha tutto ciò è dura da capire secondo me, tanto quanto sarà dura da buttare giù quest’aria da grande fratello che respireremo d’ora in poi.
E ripeto, non c’è bisogno di un’email per piazzare del tritolo…
Hanno ragione quelli di European digital rights: “La peggior risposta possibile [agli attacchi terroristici] sarebbe compromettere il delicato equilibrio di questi diritti con risposte ispirate dal panico. Una risposta al terrore che consista nella sorveglianza di massa sarebbe un successo enorme per chi ha perpetrato tali attacchi: un massiccio indebolimento dei nostri valori più fondamentali“.
Ricordiamo che secondo l’articolo 8 della Convenzione europea sui diritti umani questa ritenzione indiscriminata è illegale, ed è stata equiparata dai Garanti della privacy alla “intercettazione” svolta in ambito giudiziario, come a dire che da ora in poi siamo tutti arbitrariamente controllati sotto inchiesta della magistratura.
Qui c’è una petizione, a cura dei succitati di European digital rights, da firmare contro tale provvedimento, che però per noi arriva troppo tardi…
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